Lo Studio Legale De Santis presta la sua assistenza specialistica per la materia delle separazioni e dei divorzi anche attraverso il nuovo istituto della negoziazione assistita.
Di seguito si forniscono delle brevi linee guida alle persone che approcciano per la prima volta la materia al mero fine di agevolarne la comprensione e di illustrare gli strumenti che hanno a disposizione per affrontare la delicata fase della crisi coniugale.
La separazione personale ha la sua disciplina negli artt. 150 – 158 del Codice civile, nonché negli arti. 706 – 711 del Codice di procedura civile e ha come conseguenza la sospensione dei doveri reciproci dei coniugi (quali ad es: il dovere di coabitazione, il dovere di fedeltà e di collaborazione), eccezion fatta per quelli di assistenza e di reciproco rispetto, che permangono tra i coniugi nonostante l’intervenuta separazione.
La separazione personale determina, quale effetto più evidente ed immediato, la cessazione della convivenza dei coniugi; tuttavia, la semplice ripresa della convivenza, senza alcuna formalità particolare, fa cessare gli effetti della separazione ai sensi dell’art 157 cod. civ. senza la necessità di un ulteriore intervento da parte del Giudice. Per tale ragione, la separazione è considerata una sorta di limbo che consente ai coniugi di riconciliarsi, in caso di ripensamento, ovvero di sciogliere definitivamente il matrimonio con il divorzio, decorsi i termini di legge.
La separazione può essere di natura consensuale o giudiziale.
Nel primo caso, ai sensi dell’art 158 cod. civ., il Tribunale si limita ad omologare con decreto un accordo già raggiunto tra i coniugi sulle condizioni della separazione, previa verifica della loro rispondenza agli interessi dei minori nati dall’unione.
In altre parole, sono i coniugi, stessi che nell’atto di separazione consensuale dettano disposizioni sia per ciò che attiene agli aspetti patrimoniali, quali l’assegno di mantenimento e il diritto di abitazione nella casa coniugale, sia per quanto riguarda l’affidamento e la frequentazione dei figli minori, se vi sono.
Nel secondo caso, che ricorre quando i coniugi non hanno raggiunto alcun accordo, il Tribunale pronuncia con sentenza la separazione dei coniugi e stabilisce le condizioni che i medesimi dovranno osservare per il futuro.
Da un punto di vista processuale, la separazione giudiziale introduce un procedimento contenzioso, più complesso e articolato rispetto al procedimento, più snello e veloce, della separazione consensuale. Quest’ultima, infatti, presenta aspetti delicati soltanto con riferimento alla tutela dei minori, in quanto, ai sensi dell’art. 158 c.c., il Giudice in sede di omologazione ha il potere di controllare e verificare la rispondenza delle disposizioni, contenute nell’atto di separazione, all’interesse dei figli minori; qualora il giudice vi ravvisi un contrasto, invita i coniugi ad apportare le modifiche più opportune e, in caso di inidonea soluzione, può rifiutare l’omologazione.
Pertanto, onde evitare di incorrere in errori o omissioni che potrebbero indurre il giudice a rifiutare l’omologazione dell’atto di separazione consensuale, che, si ricorda, non richiede l’assistenza obbligatoria dell’avvocato, è opportuno richiedere comunque una consulenza ad avvocati esperti della materia, che nella stesura del ricorso possano dare ai coniugi consigli adeguati ed un supporto tecnico qualificato.
Le medesime considerazioni sopra svolte valgono con riferimento al giudizio di scioglimento (nel caso di matrimonio celebrato con rito civile) o cessazione degli effetti civili del matrimonio (nel caso di matrimonio celebrato con rito concordatario), comunemente chiamato divorzio, disciplinato dalla legge 898 del 1/12/1970.
In seguito all’entrata in vigore della legge 6/05/2015 n. 55 (c.d. “divorzio breve”) il divorzio può essere richiesto una volta che siano decorsi 6 mesi o 1 anno dalla comparizione dei coniugi innanzi al Presidente del Tribunale a seconda che si tratti, rispettivamente, di separazione consensuale o di separazione giudiziale.
Anche il divorzio può essere di natura consensuale o giudiziale con la differenza, rispetto alla separazione, che viene sempre pronunciato con sentenza.
Con esso cessa definitivamente l’unione coniugale permanendo solo l’eventuale obbligo per il coniuge più abbiente di corrispondere un assegno divorzile in favore del coniuge economicamente più debole, fermi restando gli obblighi dei genitori nei confronti dei figli minori o, comunque, non economicamente autosufficienti.
Sul punto, si segnala la “rivoluzionaria” sentenza della Corte di Cassazione, sez. I, n. 11504 del 10 maggio 2017, che ha abbandonato il tradizionale criterio del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio per la determinazione del diritto alla corresponsione dell’assegno di divorzio, ancorando tale diritto alla mancanza di mezzi propri e/o all’impossibilità di procuraseli per ragioni oggettive. Data la complessità dell’argomento in esame, si rinvia agli approfondimenti contenuti nella sezione “casi di studio”, ove la sentenza viene esaminata, previo breve excursus storico, anche alla luce delle sue applicazioni concrete nei Tribunali di merito.
I provvedimenti adottati in sede di separazione e divorzio, sia consensuale che giudiziale, possono sempre essere modificati ad istanza di una o di entrambe le parti al mutare delle condizioni personali e patrimoniali di una delle due.
Si sottolinea che il recente “decreto giustizia” (d.l. n. 132/2014, convertito nella l. n. 162/2014), finalizzato a dettare “misure urgenti di degiurisdizionalizzazione e altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile” ha introdotto nel nostro ordinamento l’istituto della negoziazione assistita, applicabile anche ai casi di separazione, divorzio e modifica delle condizioni di separazione e divorzio.
L’istituto consente ai coniugi di raggiungere e ratificare un accordo attraverso il patrocinio di due legali e senza dover ricorrere al Tribunale.
La procedura è applicabile, a seguito delle modifiche apportate in sede di conversione del decreto, sia in assenza che in presenza di figli minori o di figli maggiorenni incapaci, portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti.
Nel primo caso l’accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita è sottoposto al vaglio del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente, il quale, se non ravvisa irregolarità, comunica il nullaosta agli avvocati.
Nel secondo caso, invece, il PM, cui l’accordo va trasmesso entro 10 giorni dalla sua conclusione, lo autorizza solo se lo stesso è rispondente all’interesse dei figli. Qualora, al contrario, il procuratore ritenga che l’accordo non corrisponda agli interessi della prole, lo trasmette, entro cinque giorni, al Presidente del Tribunale, il quale, nel termine massimo di trenta giorni, dispone la comparizione delle parti, provvedendo senza ritardo.
Una volta autorizzato, l’accordo, nel quale gli avvocati devono dare atto di aver esperito il tentativo di conciliazione tra le parti informandole della possibilità di ricorrere alla mediazione familiare, è equiparato ai provvedimenti giudiziali che definiscono gli analoghi procedimenti in materia.
Infine, la Legge 162 del 2014 che ha convertito con modifiche il D. L. 132/2014 all’art. 12 ha introdotto la separazione, il divorzio e la modifica delle condizioni di separazione e divorzio davanti al Sindaco quale Ufficiale di Stato civile.
Dall’ 11 dicembre 2014 è quindi possibile separarsi, divorziare e concordare una modifica delle condizioni di separazione e divorzio già intervenute, davanti all’Ufficiale di Stato civile senza l’assistenza legale.
Tale ultima procedura è ammessa però soltanto in assenza di figli minori, maggiorenni incapaci ( cioè soggetti a tutela, curatela, amministrazione di sostegno) o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti e solo se l’accordo tra i coniugi non comporti trasferimenti patrimoniali.
La sentenza di separazione e di divorzio o, nel caso di separazione consensuale, il decreto del Tribunale che omologa le condizioni di separazione concordate dai coniugi, nonché il verbale di negoziazione assistita, costituiscono titolo esecutivo sulla base del quale è possibile agire per il recupero forzoso del credito, ossia il coniuge che deve avere l’assegno di mantenimento, di divorzio, alimentare, ovvero il contributo al mantenimento dei figli conviventi, può iniziare subito una procedura esecutiva nei confronti del coniuge obbligato, pignorando ad es. il conto corrente, gli immobili di cui sia proprietario, lo stipendio o la pensione.
Il coniuge avente diritto all’assegno può altresì ottenere, in caso di reiterate inadempienze, che il Giudice ordini al datore di lavoro o all’ente previdenziale di versare direttamente la somma stabilita giudizialmente sostituendosi così al coniuge onerato.
In questa maniera il datore di lavoro o l’ente previdenziale dovranno togliere ogni mese dallo stipendio o dalla pensione la quota spettante al coniuge separato e versargliela secondo le modalità che questi riterrà opportune, mentre il coniuge obbligato (il marito) non potrà fare nulla per bloccare i pagamenti mensili stabiliti a titolo di mantenimento.
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