
La sindrome da alienazione parentale.
- 1 Ottobre 2019
- affidamento, alienazione, divorzio, figli, genitori, parentale, PAS
Si segnala una recente pronuncia del Tribunale di Brescia (Sezione III° Civile, n° 815 del 22 marzo 2019) con la quale il Giudice adito, pur ribadendo come non vi sia un consenso unanime della comunità scientifica sull’esistenza di una vera e propria “sindrome” intesa come patologia clinica del minore che si attiverebbe nei contesti di separazioni e divorzi conflittuali, assume alla base della propria decisione, conformemente alle indicazioni del CTU nominato, gli otto sintomi che definirebbero la PAS (Parental Alienation Syndrome) in quanto utili “a valutare i punti critici nelle relazioni disfunzionali tra il minore e il genitore rifiutato”.
In particolare, i succitati 8 sintomi vengono così riassunti nella decisione in commento:
- La campagna di denigrazione nella quale il bambino mima e scimmiotta i messaggi di disprezzo del genitore alienante;
- La razionalizzazione debole dell’astio per cui il bambino spiega le ragioni del suo disagio nel rapporto con il genitore alienato con motivazioni illogiche, insensate o superficiali;
- La mancanza di ambivalenza. Il genitore rifiutato è descritto dal bambino “tutto negativo” mentre l’altro genitore è “tutto positivo”;
- Il fenomeno del pensatore indipendente: il bambino afferma che ha elaborato da solo la campagna di denigrazione del genitore;
- L’appoggio automatico al genitore alienante, quale presa di posizione del bambino sempre e solo a favore del genitore alienante;
- L’assenza del senso di colpa;
- Gli scenari presi a prestito, ossia affermazioni che non possono ragionevolmente venire da lui direttamente;
- L’estensione delle ostilità alla famiglia allargata del genitore rifiutato.
Nel caso di specie, il Tribunale, dopo aver preso atto dell’esistenza di tutti i sintomi sopra elencati, ha ricondotto la causa del comportamento della minore, volto a rifiutare ostinatamente la figura del padre, alla sistematica denigrazione dello stesso posta in essere dalla madre (genitore definito “alienante”); in particolare, il Tribunale precisa che “il quadro relazionale attuale non si è generato accidentalmente per effetto della vicenda separativa , ma rappresenta il prodotto del protratto atteggiamento della madre di sistematico contrasto alla figura paterna”.
Pertanto, dopo aver precisato come “tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena (Cass. Civ. Sez. I, 8.04.2016, n. 6919)”, il Tribunale ha disposto l’affidamento esclusivo al padre, stante il giudizio di inadeguatezza genitoriale della madre che si è adoperata – più o meno consapevolmente – per minare le fondamenta della relazione padre-figlia.
La sentenza in esame è di notevole interesse perché si colloca in maniera equilibrata all’interno di un dibattito giurisprudenziale e dottrinario che da anni verte sulla esistenza o meno del fenomeno dell’alienazione parentale come vera e propria sindrome.
La decisione si inquadra infatti in un orientamento che tende a considerare i comportamenti individuati come sintomatici di una “alienazione” comunque rilevanti sotto il profilo della valutazione dell’idoneità genitoriale del genitore c.d. alienante, e ciò a prescindere dalla natura clinica o meno del disturbo; in altre parole, pur non ritenendosi attendibile una mera diagnosi di PAS all’esito di uno specifico accertamento tecnico, posta la mancanza di certezze scientifiche al riguardo, ciò non significa che non possano essere rilevate nel corso del giudizio condotte di un genitore indirizzate all’allontanamento fisico e morale del figlio minorenne dall’altro genitore, da provarsi tuttavia attraverso l’utilizzo di tutti i mezzi di prova tipici e specifici della materia e non solo sulla base di un accertamento peritale.
In questo senso si è espressa recentemente la Corte di Cassazione, Sez. I Civile, con la sentenza n. 6919 del 8 aprile 2016 (richiamata dalla pronuncia di merito in esame), in cui veniva enunciato il seguente principio di diritto: “in tema di affidamento di figli minori, qualora un genitore denunci comportamenti dell’altro genitore, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sé, indicati come significativi di una PAS (sindrome di alienazione parentale), il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena”.
Il principio è stato poi ribaditodalla Suprema Cortecon la sentenza n. 13274 del 18 maggio 2019, in cui si precisava che la diagnosi di alienazione parentale – non avendo basi scientifiche certe – non basta per allontanare il figlio dal genitore: il giudice dovrà tener conto non solo della CTU che l’ha accertata, bensì di ulteriori, approfondite indagini.
In sintesi, sembra che il punto di approdo della più recente giurisprudenza di merito e di legittimità sia quello di considerare la c.d. PAS (sindrome di alienazione parentale) non come una patologia da indagare clinicamente, ma come una serie di condotte rilevanti per emarginare e neutralizzare l’altra figura genitoriale, idonee a creare nel figlio un grave fattore di rischio evolutivo per il suo sviluppo psicoaffettivo, se non un vero e proprio disturbo individuale.
Avv. Marta De Santis
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