Sull’illegittimità del licenziamento disciplinare fondato su circostanze diverse da quelle contestate in sede di lettera di contestazione disciplinare
- 21 Ottobre 2018
- cassazione, contestazione, licenziamento, sanzione
L’art 7 della Legge 300/70 dispone che il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l’addebito.
La sanzione disciplinare più grave del rimprovero verbale non può essere irrogata prima che siano passati cinque giorni dal ricevimento della lettera di contestazione disciplinare.
La Giurisprudenza ha dovuto interpretare il caso dell’addebito contestato al lavoratore in sede di lettera di contestazione disciplinare diverso da quello su cui si è poi radicato il licenziamento disciplinare ed ha forgiato il principio dell’immutabilità della contestazione disciplinare, anche se con qualche temperamento.
Infatti, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6099 del 12/03/2010, ha stabilito che il principio dell’immutabilità della contestazione non può ravvisarsi sempre.
Più precisamente, quando c’è divergenza fra le circostanze addotte nella lettera di contestazione e quelle del licenziamento disciplinare occorre verificare se la mutazione della contestazione abbia comportato una concreta violazione del diritto di difesa del lavoratore per essere intervenuta una sostanziale modifica del fatto addebitato, che si verifica quando il quadro di riferimento è diverso.
Tale interpretazione è stata confermata dalla recente sentenza di Cassazione n. 1159/2018 del 09/05/2018. In questa sentenza si decide il caso di un dirigente al quale, con una prima lettera di contestazione, il datore di lavoro addebitava di aver autorizzato e supervisionato la verniciatura di strutture metalliche in ambienti attigui all’imbottigliamento di acque minerali, prodotte dalla società, senza valutare i rischi derivanti dall’utilizzo delle vernici vicino all’acqua minerale; in una seconda lettera di contestazione, il datore di lavoro contestava, invece, al dipendente di aver scritto una comunicazione ingiuriosa ad un fornitore. Successivamente, il datore di lavoro licenziava il dipendente perché, a seguito d’istruttoria, si accertava che la verniciatura era stata fatta dallo stesso lavoratore.
I Supremi giudici, nel caso de quo, hanno dichiarato legittimo il licenziamento, affermando che si è trattato, da parte del datore di lavoro, solo di una diversa valutazione dello stesso fatto, che, ontologicamente, restava il medesimo.
In altre parole, rimaneva fermo il fatto che il lavoratore licenziato, peraltro direttore della qualità dello stabilimento di acque minerali, era stato superficiale ed aveva messo a repentaglio la sanità dell’acqua utilizzando un prodotto tossico a poca distanza dall’imbottigliamento.
La Sent. di Cass. n. 4983 del 05/03/2018 invece ribadisce che è illegittimo il licenziamento disciplinare di un lavoratore basato su motivazioni disciplinari mai contestate in precedenza.
Nella sentenza sopra detta, la Cassazione analizza il caso di un lavoratore licenziato, a cui era stato contestato il fatto che avesse autorizzato le cassiere di un punto vendita da lui diretto a trattenere, indebitamente, importi di denaro relativi ai così detti ”aborti di cassa”; al contrario, nella successiva lettera di licenziamento, il datore di lavoro contestava un’altra e diversa condotta, ovvero che lo stesso lavoratore avesse autorizzato le cassiere a scambiare il posto, senza aver chiuso prima la cassa.
Alla luce della giurisprudenza sopra analizzata si può dire che il licenziamento disciplinare di un lavoratore è legittimo ogni qualvolta la contestazione disciplinare è la medesima di quella del licenziamento e/o comunque, se è diversa, non deve modificare il quadro del fatto ed impedire il diritto di difesa al lavoratore.
Avv. Alessandro Gioia
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