Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sull’assegno di divorzio
- 19 Agosto 2018
- assegno, cassazione, divorzio, patrimonio
Con la sentenza n. 18287/2018, la cui motivazione è stata depositata in data 11 luglio 2018, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno risolto il contrasto giurisprudenziale insorto successivamente alla ormai nota sentenza n. 11504/2017 (c.d. sentenza Grilli).
Si ricorda in proposito che sino all’emissione della succitata sentenza, l’orientamento dominante per circa trenta anni (dettato dalla sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 11490/1990) è stato quello improntato sulla natura assistenziale dell’assegno di divorzio, riconosciuto in caso di inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, da intendersi come insufficienza degli stessi a garantire la conservazione del tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio. Accertata la sussistenza di tale presupposto, la determinazione della misura dell’assegno veniva effettuata ponderando i criteri enunciati dall’art. 5 comma 6 della legge 898/1970 (condizione dei coniugi, ragioni della decisione, contributo economico e personale dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio).
Il consolidato orientamento giurisprudenziale sopra brevemente riassunto ha subito una brusca battuta di arresto con la sentenza n. 11504/2017 con cui la Corte di Cassazione ha stabilito un nuovo principio di diritto, individuando l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante non più nell’impossibilità di mantenere il precedente tenore di vita, bensì nella non autosufficienza economica dello stesso e nell’oggettiva impossibilità di procurarsi da sé i mezzi economici necessari al proprio sostentamento.
Come illustrato nel nostro precedente articolo del 23 maggio 2018 il nuovo orientamento ha generato pronunce di merito ondivaghe che, nel tentativo di colmare le lacune interpretative, hanno fissato i criteri più disparati per la valutazione della sussistenza o meno in capo al coniuge richiedente di un’obiettiva condizione di indipendenza economica.
Per tale ragione la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite della Suprema Corte che hanno risolto con la sentenza in esame il contrasto giurisprudenziale insorto.
Orbene, la Corte di Cassazione, dopo aver ripercorso gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità anche con riferimento all’epoca storica e alle condizioni sociali in cui si sono formati e dopo aver sottolineato le criticità di ciascuno di essi se autonomamente adottati, ha precisato che all’assegno di divorzio deve attribuirsi una funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa.
La sentenza ha infatti chiarito che, ai fini del riconoscimento dell’assegno, si deve adottare un criterio composito che, alla luce della valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali, dia particolare rilievo al contributo fornito dall’ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future ed all’età dell’avente diritto. Il parametro così indicato si fonda sui principi costituzionali di pari dignità e di solidarietà che permeano l’unione matrimoniale anche dopo lo scioglimento del vincolo.
Più precisamente, ove l’accertata condizione di disparità tra i coniugi sia da ricondurre alle scelte comuni e ai ruoli endofamiliari e ove “sia accertato che lo squilibrio economico patrimoniale conseguente al divorzio derivi dal sacrificio di aspettative professionali e reddituali fondate sull’assunzione di un ruolo consumato esclusivamente o prevalentemente all’interno della famiglia e dal conseguente contributo fattivo alla formazione del patrimonio comune e a quello dell’altro coniuge, occorre tenere conto di questa caratteristica della vita familiare nella valutazione dell’inadeguatezza dei mezzi e dell’incapacità del coniuge richiedente di procurarseli per ragioni oggettive. Gli indicatori contenuti nella prima parte dell’art 5 comma 6 prefigurano una funzione perequativa e riequilibratrice dell’assegno di divorzio che permea il principio di solidarietà posto a base del diritto”.
In altre parole, se la valutazione del profilo soggettivo del richiedente l’assegno non viene compiuta alla luce dell’incidenza che la vita matrimoniale ha avuto sulla sua condizione attuale e sulle scelte effettuate nel mero interesse della famiglia, allora la valutazione di adeguatezza non può dirsi effettivamente fondata sul principio di solidarietà che poggia sul cardine costituzionale della pari dignità dei coniugi (artt. 2, 3 e 29 della Carta Costituzionale).
Quanto sopra alla luce del fatto che il contributo fornito alla conduzione della vita familiare costituisce il frutto di decisioni comuni di entrambi i coniugi, libere e responsabili, che possono incidere anche profondamente sul profilo economico patrimoniale di ciascuno di essi dopo la fine dell’unione matrimoniale.
Il Collegio ha dunque prescelto “un criterio integrato che si fondi sulla concretezza e molteplicità dei modelli familiari attuali” precisando che il Giudice di merito non può fondare il riconoscimento del diritto all’assegno solo su uno degli indicatori contenuti nell’art. 5 comma 6 della legge sul divorzio, essendo necessaria una valutazione integrata degli stessi ed un accertamento probatorio rigoroso delle cause della sperequazione determinatasi tra i coniugi, nell’ottica non di ricostituire il tenore di vita coniugale bensì di riconoscere il ruolo e il contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla situazione comparativa esistente al momento dello scioglimento dell’unione coniugale.
La questione è ora rimessa ai Tribunali di merito che, nella valutazione delle situazioni concrete, dovranno dare attuazione al nuovo e composito principio di diritto.
Avv. Marta De Santis
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