A norma dell’art. 769 c.c. “la donazione è il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione”.
Trattandosi di un contratto, l’accettazione del beneficiario è un elemento imprescindibile e finché l’accettazione non sia stata notificata al donante, sia questi che il donatario possono revocare la loro dichiarazione.
Gli elementi essenziali delineati dal legislatore sono:
- lo spirito di liberalità del donante, il c.d. animus donandi (elemento soggettivo), ossia la piena consapevolezza e volontà di determinare l’arricchimento altrui con depauperamento dei beni propri (non si verserebbe in tali ipotesi se, ad esempio, qualcuno agisse sotto pressioni di qualsiasi tipo).
- l’arricchimento del donatario, ossia l’incremento del patrimonio di quest’ultimo in conseguenza del correlativo depauperamento del donante (elemento oggettivo). Questo effetto si realizza sia quando il donante dispone di un diritto (donazione reale), sia quando assume nei confronti del donatario un’obbligazione (donazione obbligatoria), sia quando libera da un debito il donatario (donazione liberatoria, ammessa dalla maggior parte della dottrina e dalla giurisprudenza).
E’ necessario che il donante, se persona fisica, abbia la piena capacità di disporre (il negozio compiuto da un soggetto incapace di intendere e di volere è annullabile) e, se persona giuridica, sia autorizzato dall’atto costitutivo o dallo statuto.
In merito, invece, alla capacità di ricevere, il codice, in deroga alla disciplina generale sulla capacità giuridica, analogamente alle disposizioni per il testamento, statuisce che la donazione può essere fatta anche ai nascituri, pur se non ancora concepiti (art. 784 c.c.). In tal caso, l’accettazione viene fatta dai futuri genitori secondo le regole dettate dagli artt. 320 ed 321 c.c. e i beni vengono amministrati dal donante o dai suoi eredi, salvo diversa disposizione.
La donazione è atto personale che non ammette, quindi, rappresentanza, salvo la possibilità, per il solo donante, di una procura speciale attraverso la quale conferire a un terzo l’incarico di designare il donatario tra una categoria di soggetti (persone fisiche o giuridiche) o di cose indicate dallo stesso (art. 778 c.c.).
La donazione, che può avere ad oggetto qualunque bene presente nel patrimonio del donante, è un negozio solenne: deve essere fatta per atto pubblico (notarile) e alla presenza irrinunciabile di due testimoni; unica eccezione è rappresentata dalle donazioni di modico valore (o manuali) in cui al requisito della solennità si sostituisce la trasmissione materiale del possesso attraverso la consegna.
Oltre agli elementi essenziali elencati, analogamente agli altri contratti, anche per la donazione trovano applicazione gli elementi accidentali della condizione, del termine e del modo. In particolare, la condizione può essere risolutiva (come nel caso della condizione di reversibilità ex art. 791 c.c. che stabilisce il ritorno dei beni al donante in caso di premorienza del donatario) e sospensiva (subordinando il prodursi dell’efficacia al verificarsi di un evento futuro, come nella fattispecie della condizione sospensiva mista della donazione obnuziale, subordinata al verificarsi del matrimonio).
Quanto al termine, sulla base dell’ordinaria disciplina in tema di contratti, il donante può apporre un termine iniziale (a partire dal quale la donazione avrà efficacia) o finale (fino al quale la donazione avrà efficacia).
La donazione, infine, può essere gravata da un onere o modo (c.d. “donazione modale”) a carico del donatario, il quale, tuttavia ex art. 793 c.c., non è tenuto al suo adempimento oltre i limiti del valore della cosa donata. In caso di onere illecito o impossibile, lo stesso si intende come non apposto, rendendo tuttavia nulla la donazione laddove abbia costituito il solo motivo determinante.
La legge prevede, infine, che la donazione possa essere revocata in presenza di due gravi motivi: l’ingratitudine del donatario e la sopravvenienza di figli (art. 800 c.c.).
È attivabile su iniziativa unilaterale del donante (trattasi di diritto potestativo di togliere efficacia alla donazione nei casi da essa previsti, non occorre alcuna dichiarazione del donatario).
Fanno eccezione le donazioni remuneratorie e quelle effettuate in riguardo di un determinato matrimonio, che sono irrevocabili (art. 805 c.c.).
Si ricorda che le donazioni sono soggette all’azione di riduzione, disciplinata dagli artt. 533 ss. del codice civile e all’azione di restituzione, disciplinata dagli artt. 561 ss. del codice civile.
Ciò vuol dire che se le donazioni effettuate in vita dal de cuius abbiano leso la quota di legittima, ossia la quota del patrimonio del defunto che per legge spetta al coniuge, ai figli o ai loro discendenti e, in mancanza, agli ascendenti, i legittimari possono chiedere giudizialmente la riduzione degli atti che hanno prodotto la lesione stessa.
Per accertare la lesione, si deve calcolare il valore dei beni del de cuius al momento dell’apertura della successione e sommare alla massa così ottenuta il valore dei beni di cui questi abbia disposto in vita a titolo di donazione.
Sommando relictum a donatum si ottiene il valore della “massa fittizia”, cioè l’importo sul quale si calcolano la quota disponibile e la quota di legittima; quest’ultima rappresenta la quota del patrimonio ereditario necessariamente riservata ai legittimari.
Al fine di assicurare che la quota di legittima sia effettivamente acquisita dai legittimari, il codice civile (artt. 553-564 c.c.) prevede delle azioni, tra loro connesse e consequenziali (azione di riduzione e restituzione), dirette alla reintegrazione della quota riservata ai legittimari, se intaccata da disposizioni testamentarie o da donazioni lesive effettuate in vita dal de cuius (sia di beni mobili, sia di immobili).
Vediamo in sintesi le due azioni:
- AZIONE DI RIDUZIONE: azione personale che rende inefficaci le donazioni (o le disposizioni testamentarie) compiute dal de cuiusin pregiudizio delle ragioni del legittimario;
- AZIONE DI RESTITUZIONE: se e solo se il legittimario, vittorioso nell’azione di riduzione, non trova capienza nel patrimonio di chi per donazione (o testamento) ha ricevuto beni per valore superiore alla quota disponibile, egli può rivolgersi all’attuale proprietario dei beni donati e pretenderne la restituzione.
Le donazioni effettuate in vita dal defunto si possono ridurre solo se il legittimario escluso o leso non trova di che soddisfare il suo diritto su quanto il de cuius ha lasciato alla sua morte.
Infatti, qualora si agisca in riduzione, innanzitutto si riducono le disposizioni testamentarie che eccedono la quota di cui il defunto poteva disporre, successivamente si riducono le donazioni partendo dall’ultima che ha provocato la lesione e via via risalendo a quelle precedenti.
L’azione di riduzione può essere esercitata solo dopo la morte del de cuius; il futuro legittimario non può rinunciare a tale diritto finché vive il donante, né con dichiarazione espressa, né prestando il proprio assenso alla donazione (art. 557 c.c.).
L’azione di riduzione è soggetta alla prescrizione ordinaria decennale. Secondo giurisprudenza costante, se la lesione del legittimario deriva da donazione il termine di prescrizione decorre dalla data di apertura della successione (da ultimo, Cass. 20644/2004). Solo da questo momento, infatti, può essere fatto valere, ai sensi dell’art. 2935 c.c., il diritto del legittimario a vedersi riconosciuta la propria quota di legittima.
L’azione di riduzione può estinguersi, oltre che per prescrizione, anche per rinuncia del legittimario. L’avente diritto alla quota di legittima, infatti, una volta intervenuta la morte del donante, può rinunciare ad intraprendere l’eventuale azione di riduzione.
Si segnala che, nell’ottica di approntare una maggior tutela agli acquirenti di beni di provenienza donativa, la Legge n. 80/2005 (in vigore dal 15 maggio 2005) ha introdotto alcune significative novità che di seguito si andranno brevemente ad illustrare.
1. l’azione di restituzione (azione reale conseguente all’azione di riduzione) può essere esperita dal legittimario leso o escluso solo se non sono decorsi 20 anni dalla donazione. Qualora i 20 anni siano invece trascorsi, non vi è alcun rimedio per il legittimario vittorioso nell’azione di riduzione, se il patrimonio del donatario è incapiente per soddisfare i crediti del legittimario stesso;
2. se l’azione di riduzione è domandata dopo 20 anni dalla trascrizione della donazione (e il bene viene recuperato), le ipoteche e i pesi (ad es. l’usufrutto) restano efficaci, fermo però restando “l’obbligo del donatario di compensare in denaro i legittimari in ragione del conseguente minor valore dei beni” (art. 561 c.c.), e sempre che la domanda di riduzione sia stata proposta entro 10 anni dall’apertura della successione; se, invece, l’azione di riduzione viene esperita entro 20 anni dalla donazione e risulta vittoriosa il bene recuperato dal legittimario rimane libero da pesi e ipoteche (c.d. effetto purgativo dell’azione di riduzione);
3. affinché il termine di 20 anni dalla donazione non pregiudichi i diritti degli stretti congiunti del donante e la sua decorrenza sia quindi sospesa, è consentita al coniuge e ai parenti in linea retta (art. 563 c.c., come modificato dalla L. 80/2005) la c.d. opposizione stragiudiziale alla donazione : essi possono infatti notificare al donatario e ai suoi aventi causa e trascrivere nei pubblici registri un atto stragiudiziale ( cioè non proposto avanti al giudice) di opposizione alla donazione. In tale modo è sospeso il termine ventennale previsto per la donazione; l’opposizione perde effetto se non viene rinnovata prima che siano trascorsi 20 anni.
Fermo restando quindi il limite di prescrizione decennale, la L. 80/2005 ha introdotto un nuovo ed ulteriore termine ventennale, decorrente dalla trascrizione della donazione, entro il quale il legittimario può esercitare l’azione di riduzione per ottenere la restituzione dei beni donati. Trascorsi 20 anni dalla donazione, infatti, il legittimario che non trovi nel donatario un patrimonio sufficiente a ripristinare la propria quota di legittima, non può avanzare più alcuna pretesa nei confronti di un eventuale terzo cui sia pervenuto il bene dal donatario.
La nuova disposizione agevola così la circolazione dei beni oggetto di donazione sui quali i legittimari lesi non possono più avanzare pretese nei confronti di terzi, se sono decorsi 20 anni dalla donazione e se non è intervenuta opposizione stragiudiziale alla donazione.
L’opposizione alla donazione era un atto sconosciuto nel diritto vigente e rappresenta la soluzione offerta dal legislatore alla minore tutela riconosciuta al legittimario.
Se prima della riforma, infatti, il legittimario per poter esperire l’azione di riduzione verso atti donativi compiuti in vita dal de cuius e lesivi della sua quota di legittima era soggetto esclusivamente al termine di prescrizione decennale che scattava dalla data di apertura della successione, in seguito alle novità della L. 80/2005 il legittimario si ritrova a dover fare i conti con l’ulteriore termine di 20 anni decorrente dalla donazione, decorso il quale egli potrebbe sì risultare vittorioso nell’azione di riduzione ma potrebbe non accedere alla successiva azione di restituzione.
Va sottolineato che l’eventuale rinuncia al diritto di opposizione, che permette il decorso del termine di 20 anni, non significa mai rinuncia all’azione di riduzione. Resta infatti fermo il divieto secondo cui i legittimari non possono rinunciare all’azione di riduzione finché vive il donante (art. 557 c.c.).
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