LA TUTELA DELLA PROPRIETA’ , DEL POSSESSO E DEI DIRITTI REALI MINORI

Lo Studio Legale De Santis mette a disposizione dei clienti una profonda conoscenza della materia, prestando assistenza giudiziale e stragiudiziale in tutte le azioni a tutela della proprietà, del possesso e degli altri diritti reali di godimento e di garanzia.

Lo Studio, anche attraverso la collaborazione di Notai e Commercialisti di fiducia, offre la propria consulenza ed assistenza in tutte le fasi connesse all’acquisto e/o alla vendita di un immobile attraverso la ricerca e l’esame preliminare della documentazione ipocatastale ed urbanistica, il controllo sulle formalità , trascrizioni e iscrizioni presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari, la verifica del soggetto venditore e/o acquirente e la partecipazione alla predisposizione e alla sottoscrizione degli atti notarili.

Avvalersi dell’assistenza di professionisti esperti e di fiducia nella realizzazione di operazioni immobiliari è estremamente importante per prevenire le conseguenze rovinose di una compravendita non rispondente alle proprie aspettative, ovvero per evitare di acquistare un immobile rispetto al quale non si erano ottenute tutte le informazioni necessarie e che si riveli, dopo l’acquisto, affetto da problematiche che pregiudichino la bontà dell’affare.

Lo Studio presta la propria attività anche nella redazione di contratti di locazione di immobili ad uso sia residenziale che commerciale, garantendo la massima cura nella predisposizione delle clausole più opportune a tutela del cliente, nonché nei giudizi di sfratto per finita locazione e per morosità o, più in generale, di risoluzione contrattuale per inadempimento.

Inoltre, lo Studio legale De Santis ha conseguito negli anni una specifica competenza nella risoluzione di problematiche connesse ad immobili gravati da diritti di livello in favore di enti ecclesiastici e nella materia degli usi civici, patrocinando con successo numerose cause di usucapione sia contro i predetti enti e sia contro soggetti privati. Negli ultimi anni, data l’introduzione della mediazione civile, obbligatoria in questa materia, lo Studio ha affrontato le problematiche in esame spesso senza ricorrere all’Autorità Giudiziaria, addivenendo ad un accordo sull’acquisto ab origine del bene a distanza di pochi mesi dal conferimento dell’incarico.

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Lo studio offre assistenza legale in tutte le fasi di acquisto dell’immobile, a partire dall’indagine preventiva sulla situazione legale, catastale, urbanistica – opportuna sin dal momento in cui si individua un immobile di interesse – sino alla stipula del contratto definitivo. Infatti, sono numerose le problematiche connesse all’acquisto di un immobile e per tale ragione è auspicabile l’assistenza di un professionista esperto che eviti spiacevoli sorprese dopo la conclusione dell’operazione. In particolare, prima della sottoscrizione della c.d. “proposta di acquisto” o, al più tardi, prima della sottoscrizione del contratto preliminare di compravendita, ove questo sia previsto, sarebbe opportuno verificare:

1. il titolo di provenienza, ovvero in che modo l’immobile è divenuto di proprietà del venditore (es.: compravendita, donazione, successione, usucapione ecc.), in quanto ad ogni titolo corrispondono accertamenti differenti sulla regolarità ed irrevocabilità dell’acquisto a monte;

2. l’eventuale esistenza di diritti reali gravanti sull’immobile in favore di terzi, quali ad esempio servitù, usufrutto, ipoteche, etc.;

3. l’eventuale esistenza di azioni giudiziarie in danno del venditore (es: pignoramenti, sequestri, azioni revocatorie, etc.) o di altri diritti in favore di terzi (es: diritto di abitazione o assegnazione dell’immobile in favore del coniuge in seguito a sentenza di separazione e/o divorzio);

4. lo stato occupativo dell’immobile, ovvero se esso risulti libero o occupato da terzi, al fine di valutare, nel secondo caso, ogni azione necessaria per ottenerne la liberazione;

5. la posizione debitoria dell’immobile rispetto agli oneri condominiali, la situazione complessiva del fabbricato e l’esistenza di contenziosi giudiziari coinvolgenti il Condominio.

Esperiti tali preventivi accertamenti ed individuata la modalità di risoluzione di eventuali problematiche riscontrate, è opportuno redigere un contratto preliminare di compravendita (c.d. compromesso) che, oltre a contenere gli elementi di base (il prezzo a corpo, le modalità di pagamento, il termine essenziale entro cui stipulare il contratto definitivo a pena della perdita di interesse per l’affare e, quindi, di risoluzione del preliminare stesso), disciplini espressamente anche eventuali clausole specifiche (ad esempio, le parti potrebbero prevedere che la validità del contratto preliminare sia subordinata alla risoluzione di eventuali problematiche urbanistiche o ipocatastali riscontrate dopo la sottoscrizione della promessa di acquisto). Quanto sopra riveste una particolare importanza in quanto in sede di stipula del contratto preliminare si richiede normalmente all’acquirente di versare una somma di denaro che, in caso di inadempimento dell’acquirente, è trattenuta dal venditore, mentre in caso di inadempimento del venditore, attribuisce  all’acquirente il diritto di pretendere il doppio di quanto versato. Va da sé che più le clausole ed i rispettivi obblighi saranno minutamente disciplinati, tanto più sarà agevole individuare la parte inadempiente e quindi economicamente onerata nel caso in cui al contratto preliminare non faccia seguito la stipula del contratto definitivo.

V’è da precisare che il contratto preliminare non è obbligatorio ma è fortemente consigliato quando tra la promessa di acquisto ed il rogito notarile intercorra un apprezzabile lasso di tempo; invero, il c.d. “compromesso”, oltre a fissare definitivamente le condizioni della compravendita futura, se stipulato nella forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata e debitamente trascritto presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari, rende opponibile il compimento dell’atto a quei terzi che acquistassero il medesimo bene dallo stesso alienante. In altre parole, nel caso in cui il venditore sottoscriva due diversi preliminari con due diversi soggetti, prevarrà tra i due, nell’acquisto definitivo dell’immobile, chi ha trascritto prima il contratto preliminare e questo sia quando il trasferimento avvenga per atto notarile successivo e sia quando si ricorra all’Autorità Giudiziale per ottenere l’adempimento coattivo del preliminare disatteso. Inoltre, la trascrizione rende inopponibile al promissario acquirente iscrizioni di ipoteche giudiziali, trascrizioni di pignoramenti e, più in generale, tutte le pregiudizievoli successive alla trascrizione stessa che possono incidere sul diritto ad ottenere l’alienazione traslativa del bene libero promesso in vendita.

E’ bene sapere che nel caso in cui la compravendita avvenga attraverso un’agenzia immobiliare, questa maturerà il diritto a percepire la provvigione (che in ogni caso non deve essere mai superiore al 3%) solo nel momento in cui il contratto preliminare sarà sottoscritto e registrato all’Agenzia delle Entrate perché è questo il momento in cui l’affare si considera concluso. La stipula del contratto definitivo innanzi al Notaio avverrà entro il termine ultimo fissato dal contratto preliminare, ovvero dalla promessa di acquisto, ove si decidesse di non redigere il contratto preliminare. Solo in questa sede si produrrà l’effetto traslativo del bene in capo all’acquirente, che ne diviene il legittimo proprietario e possessore.

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E’ piuttosto frequente scoprire, nei centri abitati che una volta rappresentavano piccole realtà rurali limitrofe alle città (in particolare del centro – sud), che i terreni o i fabbricati, di cui ci si è sempre creduti legittimi proprietari, siano in realtà intestati formalmente ad altri soggetti, sotto diciture a volte non facilmente comprensibili.

In particolare, si rinviene di solito l’intestazione di “diritto del concedente” in capo ad un principe, ad un ente ecclesiastico o allo stesso Comune e di “livellario” in capo al soggetto che riteneva di essere il legittimo proprietario dell’immobile.

Trattasi di situazioni giuridiche originate in epoca medievale, quando i terreni, facenti parte di estesi latifondi, venivano attribuiti dal proprietario, detto concedente o livellante, ad un altro soggetto, detto livellario, affinché vi esercitasse la facoltà di godimento con l’obbligo di corrispondere un canone periodico, anche in natura (detto, appunto, livello) e di migliorare il bene.

Nei primi secoli del suo uso, in epoca alto medioevale, il contratto di livello fornì la veste giuridica al contenuto più svariato, essendo caratterizzato da una forma particolare contrapposta all’assenza di una qualsivoglia determinazione sostanziale. Tale forma contrattuale poteva, infatti, intercedere tra persone appartenenti alle più disparate condizioni sociali, cadere su beni di qualunque entità o natura, essere di qualunque durata, con un canone di qualsivoglia valore e con o senza obbligo di migliorare i fondi.

La differenziazione sostanziale con altri tipi di contratti agrari avvenne soltanto in epoca più recente e con vicende diverse nelle varie regioni d’Italia.

Già durante la prima metà del ventesimo secolo, i proprietari – concedenti hanno smesso di esercitare sui loro possedimenti una qualsivoglia forma di dominio, compresa quella di riscuotere i canoni stabiliti, generando la percezione del livello come istituto di origine antica ormai desueto e, pertanto, tramontato.

Conseguentemente, nel comune sentire, il possesso dei terreni gravati da livello è stato concepito dal livellario come un vero e proprio diritto di proprietà, limitato, nei tempi passati, dall’onere di corrispondere le così dette decime (per lo più in prodotti della terra) e libero ormai, da oltre metà secolo, anche dal predetto peso imposto in favore della Chiesa; ed infatti, in passato, i terreni sono stati oggetto di numerosi atti di disposizione notarili e sono stati regolarmente edificati.

Tuttavia, oggi, data la maggiore attenzione rispetto alle regole che disciplinano la circolazione dei beni e la commerciabilità degli stessi, non è più possibile disporre per atto pubblico di un bene di cui si è formalmente soltanto livellari. A dire il vero, molte persone apprendono solo nel momento in cui si accingono a vendere i loro immobili di versare in questa situazione giuridica, con tutte le conseguenze del caso.

Per acquistare la piena proprietà dei beni gravati da diritto di livello o da altri oneri ormai desueti e poterne liberamente disporre è necessario affrancare gli stessi, pagando un canone al proprietario-concedente. V’ è da dire che spesso il proprietario, approfittando del fatto che chi chiede di affrancare ha costruito o comprato la propria casa di abitazione sul terreno gravato dal livello, pretende un canone di affrancazione esorbitante ed ingiustificato.

Per tale ragione è preferibile promuovere un’azione di usucapione contro il concedente che consenta di acquistare la proprietà del bene a titolo originario, libero da ogni peso, vincolo o ragione in favore di terzi.

Un’altra situazione che spesso si verifica nelle realtà una volta tipicamente rurali è quella in cui un bene immobile sia transitato in passato con una semplice scrittura privata non autenticata, o con una stretta di mano, o per mezzo di divisioni ereditarie mai formalizzate, con la conseguenza che, di fatto, il possessore non corrisponde al proprietario e si viene a trovare nell’impossibilità di disporre formalmente e regolarmente del proprio bene.

Spesso, tali situazioni sono talmente risalenti nel tempo che l’originario intestatario del bene è nel frattempo deceduto con la conseguenza che è impossibile regolarizzare con successivo atto notarile l’intervenuto passaggio di proprietà; invero, gli eredi del formale proprietario, dovrebbero legittimare la loro posizione attraverso la predisposizione di tutte le dichiarazioni di successione, il che renderebbe tale soluzione estremante onerosa.

Anche in questa ipotesi, ove il possesso sia ultraventennale, è consigliabile promuovere un’azione di usucapione al fine di ottenere una sentenza che dichiari l’acquisto del bene a titolo originario, magari usando del nuovo strumento della mediazione obbligatoria per ovviare ai lunghi tempi del processo e agli oneri economici dello stesso.

Lo studio legale De Santis ha patrocinato con successo numerose azioni giudiziarie di usucapione contro soggetti privati, enti pubblici ed enti ecclesiastici.

Essendosi confrontato con le più disparate problematiche relative alle situazioni sopra sommariamente descritte, lo studio può vantare un’approfondita conoscenza della materia ed è in grado di offrire una soluzione anche rispetto ai casi più articolati.

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Nel comune sentire proprietà e possesso sono termini che identificano una medesima situazione di diritto: possiedo una cosa perché è mia, ovvero è mia perché la possiedo.

In realtà, i due istituti fanno riferimento a due diverse situazioni giuridiche che, infatti, possono o meno coesistere nella stessa persona: si può possedere senza essere proprietari, si può essere proprietari senza possedere e, infine, si può possedere ed essere al contempo proprietari.

La proprietà è un diritto reale che ha per contenuto la facoltà di godere e di disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi previsti dall’ordinamento giuridico (art. 832 del codice civile). E’ un diritto reale assoluto, ovvero una pretesa giuridica che l’ordinamento riconosce e tutela contro chiunque.

Il possesso, invece, è una situazione di mero fatto corrispondente, apparentemente, ad una situazione di diritto, avente ad oggetto una cosa ed idonea a produrre nel nostro ordinamento alcuni effetti giuridicamente rilevanti (tra cui l’acquisto dei beni per usucapione); il possesso è tutelato a prescindere dalla sua corrispondenza con il diritto di proprietà o con altro diritto reale.

In altre parole, il fatto di possedere non è sempre conforme al diritto di possedere.

Dal possessore si distingue, inoltre, il detentore, che si identifica in colui che esercita un potere di fatto sulla cosa non accompagnato dall’intenzione di esercitare un’attività corrispondente ad un diritto reale; in altre parole, il detentore riconosce la preminenza della posizione altrui e la propria dipendenza da quella (es. il conduttore di un immobile concesso in locazione).

La figura del detentore, come si vedrà appresso, trova una tutela molto più limitata rispetto a quella del possessore.

Molto è stato dibattuto in dottrina sulle ragioni della tutela apprestata al possesso; tra le varie teorie vi è quella basata sulla necessità di garantire la pacifica convivenza tra i consociati nell’interesse della collettività ovvero di impedire che chi afferma un diritto sulla cosa possa farlo valere con la forza contro chi ha, momentaneamente, la cosa in suo potere.

In ragione di quanto sopra, di fronte ad attività lesive del possesso e a prescindere dal fatto che esso derivi o meno da un corrispondente diritto di proprietà, l’ordinamento appresta una tutela in via d’urgenza, ovvero più rapida di un normale giudizio di cognizione, attraverso le azioni di reintegrazione e di manutenzione.

Per esperire tali azioni non v’è bisogno di giustificare il fondamento sul quale si basa la relazione tra il soggetto e la cosa (il titolo); è sufficiente dimostrare il rapporto di fatto esistente.

Vediamole sommariamente.

1) azione di reintegrazione: disciplinata dall’ art. 1168 c.c. e detta anche “azione di spoglio”, ha lo scopo di far recuperare al possessore (o al detentore) il possesso della cosa che gli sia stata sottratta violentemente o clandestinamente. Si ha lo spoglio quando la cosa è sottratta in tutto o in parte ovvero quando è modificata nel suo contenuto. Essa può essere esercitata entro un anno dallo spoglio, anche contro il terzo che abbia acquistato il possesso in virtù di un titolo derivativo fatto con la conoscenza dell’avvenuto spoglio.

2) azione di manutenzione: disciplinata dall’art. 1170 c.c., ha lo scopo di tutelare il possessore da atti che incidano sul godimento della cosa, disturbando o rendendo disagevole o più scomodo l’esercizio del possesso; essa è altresì esperibile di fronte al c.d. “spoglio semplice’ ovvero quello privo dei requisiti di clandestinità e violenza in mancanza dei quali è esclusa  l’applicazione dell’art. 1168 c.c.. L’azione di manutenzione è esperibile solo dal possessore (e non anche dal detentore) di beni immobili, o di un’universalità di mobili, quando il possesso duri in maniera continua ed ininterrotta da oltre un anno e purché venga esercitata entro l’anno dalla molestia. Se il possesso era stato acquistato in modo violento o clandestino dal possessore molestato l’azione può esercitarsi solo decorso un anno dal giorno in cui la violenza o clandestinità siano cessate.

Dunque, attraverso le azioni sopra indicate si mira a garantire il ripristino di una situazione che appare illegittimamente compromessa o turbata; sul piano sostanziale, il possessore è tutelato a prescindere dalla buona o mala fede e a prescindere dall’essere contemporaneamente proprietario o titolare di altro diritto reale. Basti  pensare in proposito che l’azione di reintegrazione (o di spoglio) può essere esperita dal possessore addirittura se l’autore della condotta violenta o clandestina sia il titolare della proprietà o di un altro diritto reale sul bene (ad esempio, il rimedio è consentito anche al ladro nei confronti del legittimo proprietario del bene, ovviamente non nell’immediatezza del furto, posto che in questo caso lo spoliator sarebbe proprio il ladro).

Affini alle azioni possessorie sono le azioni di nunciazione disciplinate dagli artt. 1171 e 1172 c.c. che mirano a prevenire un danno o un pregiudizio che può derivare da una nuova opera o da una cosa altrui. Tali azioni sono esperibili dal proprietario, dal titolare di altro diritto di godimento (es. diritto di servitù) o dal possessore (ma non dal detentore).

In particolare:

1) denunzia di nuova opera (art. 1171 c.c.): è l’azione con cui il proprietario, il titolare di altro diritto di godimento o il possessore denunzia un’opera da altri intrapresa quando abbia ragione di temere che da essa possa derivare un danno alla cosa che forma oggetto del suo diritto o del suo possesso, purché l’opera non sia terminata e non sia trascorso un anno dal suo inizio. Il Giudice, compiuti sommari accertamenti sulla situazione denunziata, può vietare la continuazione dell’opera ovvero permetterla adottando le opportune cautele.

2) denunzia di danno temuto (art. 1172 c.c.): è l’azione con cui il proprietario, il titolare di altro diritto reale di godimento o il possessore che abbia ragione di temere che da un edificio, da un albero o da un’altra cosa sovrastante stia per derivare un danno grave e prossimo alla cosa oggetto del suo diritto o possesso, denunzia il fatto all’autorità giudiziaria per ottenere un provvedimento che possa ovviare al pericolo. Il Giudice può disporre idonea garanzia per i danni eventuali.

Sin qui abbiamo pertanto esaminato tutti gli strumenti approntati dall’ordinamento per la tutela del possessore, che esso sia o meno titolare anche  del diritto di proprietà.

Ma oltre alle azioni sopra elencate, finalizzate ad ottenere una tutela sommaria e celere rispetto al rapporto immediato con la cosa, il proprietario (dunque, non il mero possessore) può esperire anche una serie di azioni poste a tutela del diritto di proprietà quando lo stesso si assuma leso da un terzo che ponga in essere atti diretti a contestare la titolarità del diritto ovvero ad incidere sul suo contenuto.

Le azioni a difesa della proprietà si dicono petitorie in quanto mirano ad accertare ed affermare la titolarità del diritto di proprietà contro chi la contesti direttamente (cioè negandola) o indirettamente (cioè vantando diritti reali limitati sul bene); dal punto di vista sostanziale, a differenza delle azioni possessorie, che assicurano una tutela provvisoria, le azioni petitorie garantiscono una tutela definitiva in grado di superare anche l’accertamento giudiziale che sia derivato in precedenza da un’azione possessoria.

Esaminiamo anche esse sommariamente.

1) Azione di rivendicazione: disciplinata dall’art. 948 c.c. è l’azione con cui “il proprietario può rivendicare la cosa da chiunque la possiede o detiene e può proseguire l’esercizio dell’azione anche se costui, dopo la domanda, ha cessato, per fatto proprio, di possedere o detenere la cosa“. La funzione dell’azione è quella di assicurare al proprietario, allorquando sia accertata la titolarità del diritto, il pieno ed assoluto godimento sul bene che ne costituisce l’oggetto. Essa mira non solo ad accertare la titolarità del diritto di proprietà ma anche a far recuperare al proprietario il bene sottratto.  L’onere della prova ricade sul proprietario, il quale è chiamato a dimostrare il suo titolo di proprietà; in questa azione, la prova presenta delle difficoltà particolari, tanto che si parla di c.d. “probatio diabolica“: invero, in caso di acquisto per atto di compravendita, il proprietario, per fornire la prova della fondatezza del suo diritto, dovrebbe risalire fino ad un acquisto a titolo originario del bene, oltre a provare la legittimità e la fondatezza di tutti i trasferimenti sino al suo. Tale onere, secondo la giurisprudenza, “può essere assolto con la dimostrazione dell’acquisto del bene a titolo derivativo e della titolarità del diritto di proprietà in capo ai precedenti danti causa, fino a risalire ad un acquisto a titolo originario, o dell’avvenuto compimento in suo favore dell’usucapione” (Cass. n. 27296/2013). Legittimato attivo all’azione di rivendicazione è il proprietario, il nudo proprietario ed il comproprietario. Legittimato passivo all’azione di rivendicazione è chiunque abbia il possesso o la detenzione della cosa ovvero chi, prima della proposizione della domanda giudiziale, abbia consapevolmente ceduto il bene a terzi.  In quest’ultima evenienza, il soggetto che ha sottratto la cosa al proprietario sarà tenuto a recuperala e restituirla allo stesso ovvero a corrispondergli l’equivalente in denaro qualora il bene non possa essere reperito, oltre al risarcimento del danno subito (art. 948, 2° comma, c.c.). Il proprietario, se consegue direttamente dal nuovo possessore o detentore la restituzione della cosa, è tenuto a restituire al precedente possessore o detentore la somma ricevuta in luogo di essa (art. 948, 3° comma, c.c.). L’azione di rivendicazione è imprescrittibile, fatti salvi gli effetti dell’acquisto della proprietà da parte di altri per usucapione.

2) azione negatoria: disciplinata dall’art. 949 c.c. è l’azione con cui “il proprietario può agire per far dichiarare l’inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio. Se sussistono anche turbative o molestie, il proprietario può chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la condanna al risarcimento del danno“. Presupposto dell’azione in esame è, pertanto, l’affermazione da parte di un terzo di un diritto reale limitato sul bene, ovvero le molestie o turbative di fatto arrecate da un terzo. L’actio negatoria può essere, quindi, promossa dal proprietario che abbia timore di subire un pregiudizio da terzi che vantino sulla medesima cosa diritti reali minori (ad esempio diritto di usufrutto o servitù); da ciò deriva che unico legittimato passivo è chi si dichiari titolare di un diritto reale di godimento e, in conseguenza di tale affermazione, costituisca per il proprietario un concreto pericolo di molestia. L’onere della prova incombe sul soggetto convenuto in giudizio il quale deve dimostrare l’esistenza dei diritti che egli assume di vantare; il proprietario dovrà invece dare la semplice prova della sua proprietà, bastando in questo caso che egli dimostri di possedere in base a un titolo idoneo. Anche l’azione negatoria è imprescrittibile, fatti salvi gli effetti dell’intervenuta usucapione.

Da quanto sopra esposto, è facile intuire la complessità della materia e la necessaria competenza specifica per individuare l’azione da esperire a tutela del soggetto che si assume leso nel suo rapporto con la cosa.

In particolare, oltre ad esaminare rigorosamente l’esistenza nella fattispecie concreta dei diversi presupposti richiesti dalle norme per la proponibilità delle singole azioni, il professionista deve tenere conto delle esigenze specifiche della persona che si assume lesa: infatti, se con un’azione possessoria si può ottenere una tutela celere ed immediata, con l’azione petitoria può invece ottenersi una tutela certa e definitiva.

Non può tacersi, infine, che i Tribunali di merito sono spesso riluttanti alla concessione di provvedimenti d’urgenza, con la conseguenza che molto spesso le azioni possessorie, se non adeguatamente fondate e costruite, vengono rigettate vanificando ogni tentativo di ottenere una rapida giustizia.

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Gli articoli 657 – 669 del codice di procedura civile disciplinano un particolare procedimento sommario attraverso il quale il proprietario – locatore può rientrare in possesso dell’immobile concesso in locazione ad un terzo in tempi molto più rapidi rispetto ad un ordinario giudizio a cognizione piena.

Possono avvalersi della procedura di convalida dello sfratto soltanto il locatore o il concedente in caso di:

– locazione (abitativa o non abitativa)

– affitto a coltivatore diretto, mezzadria, colonia parziale.

Il procedimento può essere attivato soltanto in tre ipotesi:

  1. Licenza per finita locazione (art. 657 primo comma c.p.c.), la cui funzione è quella di impedire la rinnovazione tacita del contratto prima della sua scadenza e di ottenere quindi il titolo per il rilascio dell’immobile prima della scadenza contrattuale; in altre parole, nel caso in cui il conduttore, alla scadenza, non riconsegni bonariamente l’immobile, il locatore avrà già il titolo da porre in esecuzione per rientrare coattivamente nel possesso della cosa locata;
  2. Sfratto per finita locazione (art. 657 secondo comma c.p.c.), la cui funzione è quella di ottenere la restituzione dell’immobile dopo la scadenza del contratto purché ovviamente esso non si sia tacitamente rinnovato, ad esempio per la mancata disdetta nei termini previsti dal contratto stesso o, in mancanza, dalla legge (6 mesi prima); in altre parole, la procedura viene attivata dal proprietario che abbia comunicato nelle forme e nei tempi di legge (ad es. lettera raccomandata a/r inviata 6 mesi prima) la sua mancanza di volontà di rinnovare il contratto e al quale il conduttore non abbia comunque restituito l’immobile dopo la scadenza;
  3. Sfratto per morosità (art. 658 c.p.c.), la cui funzione è quella di ottenere la restituzione dell’immobile a fronte del mancato pagamento dei canoni di locazione o degli oneri accessori alle scadenze stabilite. Altre forme di inadempimento non sono contemplate dal legislatore tra le ipotesi che legittimano l’azione di sfratto e, dunque, vanno risolte secondo il diritto comune: se l’inadempimento è importante secondo l’interesse del locatore, questi ha diritto di chiedere la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1455 c.c.. La legge ammette che il pagamento degli oneri accessori (ad esempio, il condominio) sia considerato separatamente dal pagamento del canone; tuttavia, se per il canone è sufficiente il mancato pagamento anche di una sola rata e dopo soli 20 giorni dalla sua scadenza, per gli oneri accessori è necessario che l’importo non pagato superi quello di due mensilità di canone di locazione.

In tutti e tre i casi sopra esaminati, la procedura inizia con un atto di intimazione rivolta dal locatore (o concedente negli atri tipi di contratto) di lasciare libero l’immobile con contestuale citazione del conduttore per la convalida. Tra il giorno della notificazione della citazione e il giorno dell’udienza devono intercorrere non meno di 20 giorni.

L’intimazione deve essere notificata in mani proprie (personalmente all’intimato); se ciò non è possibile, l’ufficiale giudiziario o l’avvocato notificante in proprio a mezzo del servizio postale deve spedire all’intimato un avviso a mezzo lettera raccomandata a/r dell’effettuata notificazione ed allegare all’originale dell’atto la ricevuta di spedizione a pena di nullità della notificazione.

Il Tribunale competente è quello del luogo in cui si trova la cosa locata.

All’udienza di convalida possono verificarsi le seguenti ipotesi:

1) Mancata comparizione dell’intimante (locatore): in tale ipotesi gli effetti processuali dell’intimazione cessano (art. 662, c.p.c.) ed il procedimento di convalida si estingue; può verificarsi questa ipotesi quando, ad esempio, dopo la notificazione dell’atto, l’inquilino provveda a saldare il debito e il proprietario decida di abbandonare il giudizio avendo raggiunto il suo scopo;

2) Mancata comparizione o mancata opposizione dell’intimato (conduttore):  il Giudice, verificata la regolarità della notificazione dell’atto di citazione, convalida la licenza o lo sfratto  e dispone con ordinanza in calce alla citazione l’apposizione su di essa della formula esecutiva (art. 663 c.p.c);

3) Opposizione: l’intimato (conduttore) compare in udienza e si oppone all’intimazione (art. 665 c.p.c.).

Se l’opposizione è fondata su prova scritta (ad esempio, nello sfratto per morosità, la produzione delle ricevute del pagamento di tutti i canoni ovvero la produzione di documenti attestanti l’esistenza di un credito in favore dell’inquilino di cui si chiede la compensazione ) o se sussistono gravi motivi, il Giudice pronuncia l’ordinanza di mutamento del rito e si apre un giudizio a cognizione piena secondo le norme sul rito del lavoro.

Se invece l’opposizione non è fondata su prova scritta o non sussistono gravi motivi,  il Giudice convalida lo sfratto pronunciando un’ordinanza non impugnabile di rilascio immediatamente esecutiva (che ha natura di provvedimento di condanna e carattere costitutivo in quanto risolve il rapporto locatizio) con riserva di esaminare le eccezioni dell’intimato nel successivo giudizio che, sempre previa ordinanza di mutamento del rito, si svolgerà secondo le norme speciali del rito del lavoro.

Lo sfratto per morosità presenta, rispetto agli altri due istituti, alcune peculiarità:

  • La convalida è subordinata all’attestazione resa in udienza dal locatore che la morosità persiste (ovvero che non è stata sanata tra la notificazione dell’atto di citazione e l’udienza fissata);
  • Il locatore, con lo stesso atto che introduce il Giudizio, può chiedere anche l’ingiunzione di pagamento dei canoni scaduti e di quelli che scadranno fino al rilascio, attivando così immediatamente la procedura per il recupero coattivo del proprio credito; il decreto ingiuntivo è immediatamente esecutivo ma può essere opposto;
  • Se il convenuto contesta l’ammontare della somma pretesa, il Giudice può disporre il pagamento della somma non controversa concedendo un termine non superiore a 20 giorni; in caso di mancata ottemperanza, convalida lo sfratto e pronunzia decreto ingiuntivo per il pagamento dei canoni.

Infine, ai sensi dell’art 55 L. 392/1978, il conduttore può sanare la morosità sino a tre volte in un quadriennio versando banco iudicis alla prima udienza l’importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori maturati sino a tale data, maggiorato degli interessi e delle spese processuali liquidate dal Giudice.

Se l’inquilino riesce a provare “condizioni di difficoltà”, può chiedere al Giudice l’assegnazione di un termine non superiore a 90 giorni (c.d. termine di grazia) per il pagamento; ove l’inadempienza derivi da precarie condizioni economiche del conduttore per disoccupazione, malattie gravi o comunque per comprovate difficoltà economiche, la morosità può essere sanata sino a quattro volte nel corso di un quadriennio e il termine per il pagamento può essere fissato in 120 giorni.

V’è da dire che, purtroppo, il procedimento snello e rapido costruito dal legislatore a tutela della proprietà si scontra poi con le lungaggini delle procedure esecutive.

Infatti, se per ottenere il titolo giudiziale di rilascio dell’immobile sono generalmente sufficienti pochi mesi (anche 30 – 40 giorni nello sfratto per morosità), lo stesso non può dirsi per ciò che riguarda l’esecuzione del provvedimento: la maggior parte delle volte occorrono molteplici accessi dell’Ufficiale Giudiziario, anche a causa della difficoltà di ottenere l’assistenza della forza pubblica, con la conseguenza che l’effettiva restituzione dell’immobile locato può avvenire anche a distanza di anni, soprattutto nelle città più grandi.

Pertanto, è estremante importante che il procedimento venga seguito in maniera scrupolosa e che la parte, assistita dal proprio legale di fiducia, segua personalmente ogni fase dello stesso, monitorando l’operato dell’Ufficiale Giudiziale ed adottando tutte le più opportune iniziative affinché questi sia dotato di tutte le risorse occorrenti per eseguire il titolo.

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