
Gli effetti giuridici del matrimonio omosessuale contratto all’estero
- 20 Luglio 2018
- cassazione, estero, gay, matrimonio, omosessuale, riconoscimento
La sentenza n. 11696/2018 della Corte di Cassazione, I^ Sezione Civile, pubblicata in data 14 maggio 2018, ha chiarito che “la non trascrivibilità dell’atto di matrimonio formato da un cittadino straniero ed un cittadino italiano non costituisce il frutto di un quadro discriminatorio per ragioni di orientamento sessuale o un’interpretazione convenzionalmente e costituzionalmente incompatibile con il limite antidiscriminatorio dal momento che la scelta del modello di unione riconosciuta tra persone dello stesso sesso negli ordinamenti facenti parte del Consiglio d’Europa è rimessa al libero apprezzamento degli Stati membri, salva la definizione di uno standard di tutele coerente con l’interpretazione del diritto alla vita familiare ex art. 8 fornita dalla Corte Edu”.
Il caso portato all’attenzione della Suprema Corte era quello di due soggetti dello stesso sesso, di cui uno di nazionalità straniera, che avevano contratto matrimonio in Brasile e che avevano richiesto la trascrizione dell’atto in Italia, rifiutata con sentenza di primo e secondo grado.
In particolare, i ricorrenti chiedevano la trascrizione dell’atto di matrimonio come tale, non ritenendo legittima l’applicazione del cd. downgrading, ovvero la conversione del loro matrimonio in unione civile e la conseguente applicazione degli effetti giuridici previsti dalla legge n. 76/2016 (cd. Legge Cirinnà sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso).
Orbene, la Corte di Cassazione, in primis, ha sancito l’applicabilità della disciplina introdotta dalla legge n. 76/2016 anche ai rapporti sorti prima dell’entrata in vigore del nuovo sistema normativo e ai giudizi instaurati anteriormente ad esso.
Invero, gli artt. 32 bis e 32 quinquies della legge n. 218/1995, introdotti dalla legge n. 76/2016 e riguardanti gli effetti nel nostro ordinamento rispettivamente dei matrimoni e delle unioni civili (o istituti analoghi) contratte all’estero da cittadini italiani, non contengono alcuna delimitazione dell’efficacia temporale del meccanismo di conversione o di equiparazione degli effetti dell’atto e, d’altra parte, una diversa previsione avrebbe provocato una irragionevole disparità di trattamento tra i cittadini italiani che abbiano contratto matrimoni o unioni all’estero prima dell’entrata in vigore della nuova legge; più precisamente, la Corte ha precisato che “l’applicazione delle nuove norme ai rapporti sorti prima della sua entrata in vigore non costituisce una deroga al principio di irretroattività della legge ma una conseguenza della specifica funzione di coordinamento e legittima circolazione degli status posta alla base della loro introduzione nell’ordinamento”.
Ciò posto, la Corte prosegue chiarendo che la norma cardine per stabilire i limiti entro i quali può essere riconosciuto nel nostro ordinamento il matrimonio contratto all’estero da una coppia omosessuale è l’art. 32 bis della legge n. 218/1995 (novellata, si ripete, dalla legge n. 76/2016) secondo il quale “il matrimonio contratto all’estero da cittadini italiani con persona dello stesso sesso produce gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana”.
Ne deriva che, anche nel caso in cui solo uno dei due coniugi sia cittadino italiano, la tutela che può essere riconosciuta dall’ordinamento italiano resta quella dell’unione civile omoaffettiva, conformemente alla legge n. 76/2016 con la quale il legislatore ha esercitato pienamente la liberà di scelta del modello di riconoscimento giuridico delle unioni omoaffettive coerentemente con il quadro convenzionale di cui agli artt. 8 e 12 Cedu.
L’unica ipotesi in cui la norma non si ritiene applicabile è quella in cui si chieda il riconoscimento di un’unione coniugale contratta all’estero tra due cittadini stranieri, dovendosi in tal caso trascrivere il matrimonio come tale stante l’estraneità della questione ai principi del nostro ordinamento.
Dunque, in sintesi, il principio di diritto sancito dalla Suprema Corte è che qualunque sia la forma dell’unione contratta in un paese estero da una coppia formata da soggetti dello stesso sesso di cui almeno uno di essi sia cittadino italiano, l’unica conversione possibile di tale atto nel nostro ordinamento è quella dell’unione civile disciplinata dalla Legge n. 76/2016 con conseguente applicazione degli effetti e del regime giuridico previsto per la stessa.
Avv. Marta De Santis
0 Commenti